Achille Bonito Oliva e Gabriele Basilico – Incontro: "Fotografare la città" con Achille Bonito Oliva e Gabriele Basilico

 

Foligno, sabato 05 febbraio 2011

Palazzo Trinci

In occasione della mostra di Gabriele Basilico: “Milano ritratti di fabbriche 1978-80 – Mosca verticale 2007-2008 – Istanbul 05.010″

ordinata al Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno dal 18/12/10 al 06/02/11

incontro con Achille Bonito Oliva E Gabriele Basilico Su Fotografare la città

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GABRIELE BASILICO di Italo Tomassoni

Italo Tomassoni

AL CENTRO ITALIANO ARTE CONTEMPORANEA

Nella quarta sezione della rassegna che inaugurò l’attività del C.I.A.C. (Spazio-tempo- immagine 2010- Dicembre – Gennaio) l’attenzione venne concentrata sugli strumenti linguistici divenuti protagonisti a partire dagli anni Duemila: la fotografia e il video. Tra gli artisti selezionati (Giacomelli, Basilico, Toscani, FRP2, Toderi) Gabriele Basilico era presente con “Contact” la celebre opera del 1984 che era già stata vista a “Italics”, consistente in dodici dittici che riprodu-cevano altrettante sedie e le impronte che, sulla pelle nuda dei glutei di un bellissimo nudo femminile, la seduta su quelle diverse geometrie aveva lasciate impresse.

Un piccolo capolavoro di body art virato al concettuale che permise a Marcello Fagiolo di redigere una scheda di privatissima , intensa testimonianza nella quale tra sapienza, ironia ed eleganza veniva tracciato il rapporto tra il trono (con i suoi significati storici, simbolici e archetipi) e la parte del corpo che su esso si va direttamente a posare.

1- Achille Bonito Oliva

A distanza di un anno, Gabriele Basilico è tornato al C.I.A.C. per concludere un anno di intensa programmazione per il Museo umbro che ha visto mostre personali (Giuseppe Gallo, Chiara Dynys) e iniziative organizzate di concerto con importanti enti come l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (rapporto arte/musica con opere di Pistoletto, Paolini e Castellani) il Laboratorio di Scienze Sperimentali (con l’intervento di Giulio Giorello) l’archivio per l’immagine della Fiat (con la proiezione dell’Uburoi di Dubuffet per la regia di Giorgio Treves) e il Comune di Foligno (con la mostra dei fotografi Vanessa Winship e Sweet Nothing e la celebrazione di Giuseppe Piermarini architetto della città al 2010).

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La personale di Gabriele Basilico si articola su due piani del Centro e illustra con 95 opere tre “ritratti” di città “Milano Ritratti di fabbriche” ; “Mosca ver-ticale” e “Istanbul 05.010”.

In questo straordinario trittico Gabriele Basilico mostra come, al di là delle evidenze derivate dalla tecnica, il vero mistero della fotografia è la documenta-zione del particolare assoluto, la contingenza suprema in cui il reale si restituisce nella sua espressione irripetibile in quell’unico attimo in cui si compie lo scatto.

Ecco perché, per Basilico come per ogni altro grande fotografo, può risultare improprio parlare di “fotografia” (che è concetto che attinge a un universale) dovendosi piuttosto commentare “la” fotografia, cioè ogni singola immagine, proprio in omaggio alla infaticabile ripetizione della contingenza che è insita in ogni immagine della realtà ottenuta con il mezzo della fotografia.

2- Gabriele Basilico

L’attività del fotografo smentisce così una delle grandi verità dell’arte contem-poranea enunciata da un artista belga in qualche misura naif come pittore ma estremamente sofisticati come intellettuale: René Magritte. Quando egli scris-se, sotto l’immagine dipinta naturalisticamente di una pipa, “questa non è una pipa” emise una delle sentenze più ricche di verità dell’arte contemporanea vo-lendo significare che quell’immagine rinviava solo a se stessa e (al di là di ogni metafora) era solo ed esclusivamente pittura, niente altro che opera d’arte e pittura, nulla avente a che fare con l’oggetto rappresentato.

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Verità, questa, indiscutibile per tutta l’arte contemporanea, tranne che per la fotografia. Per l’immagine fotografica infatti, come osserva Barthes, una pipa è sempre un pipa perché il supporto dell’immagine non assurge mai a dignità astratta e automa e non può mai prescindere dal soggetto rappresentato che ne è l’essenza, il fondamento stesso della sua ontologia.

Su questa linea Gabriele Basilico interroga Con rigore analitico l’evidenza di ogni singola foto, ne recupera la singolarità e ne ferma il tempo fornendo ogni volta la prova della inconfutabile verità di quel singolo, assoluto momento di realtà.

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3- Gabriele Basilico fotografa il C.I.A.C.

Oltre ogni velleità interpretativa, ciascuna foto certifica il qui e l’ora di ciò che riproduce; e, contemporaneamente, testimonia la presenza del fotografo nelle coordinate spazio-temporali insistenti in quell’immagine unica la cui forza documentativa è fondata, più che sullo spazio, sul tempo, il cui potere di atte-stazione supera quello della raffigurazione.

Gabriele Basislico arriva a tal punto di partecipazione e di presenza che le sue opere , diversamente da quelle della scuola di Dusserdorf (Gursky , Struth, Ruff, Hofer) non si fanno mai egemonizzare dallo strapotere del mezzo e dalle dilatazioni di una tecnologia onnipotente ma calibrano sempre la visione sull’impatto oftalmico dell’occhio umano. In altre parole vedono ciò che vede l’occhio e lo restituiscono tel quel nell’arresto che blocca ogni ricordo e ogni divagazione.

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Tutto ciò comporta che la fotografia, in quanto subordinata e non sovraordina-ta al reale, è sostanzialmente un’immagine per la cui lettura non serve un co-dice, ancorchè alcuni codici culturali possano influenzarne la comprensione (Barthes, Benjamin) puntualizzando lo Studium e il Punctum (Barthes) o i sor-tilegi della ripetizione connessa alla riproducibilità tecnica (Renjamin).

E’ inevitabile allora che in “Milano Ritratti di fabbriche” si possa leggere in trasparenza anche la lezione di Boccioni della “Città che sale”; o la malinconia tragica delle periferie di Sironi e perfino l’immobile, perturbato sortilegio delle “Piazze d’Italia” di De Chirico. Ma ciò non toglie che il paradigma dell’osservazione della città come organismo fissato nell’apnea di un’immagine viva e immobilizzata in aeternum appartenga solo a quell’immagine, legata al fuori solo da quella iterazione seriale che riguarda comunque sempre e solo le altre immagini della serie, quella catalogazione distaccata e analitica delle fabbriche che aveva visto in Bernt ed Hilla Becher i magistrali iniziatori europei.

Quanto a Istambul, come Oran Pamuk aveva raccontato la città dal di dentro, Gabriele Basilico la descrive da di fuori. Documenta i 30 Km di espansione di insediamenti urbani che i 18 milioni di abitanti hanno prodotto invadendo tutto il Bosforo, catturando la forma della città senza obbedire a schemi stilistici o programmi di poetica ma registrando passo dopo passo quella perdita disorien-tante del centro che si produce rispetto al radicamento alla terra ( è stato giu-stamente osservato che Gabriele Basilico non indulge mai al concetto di terri-torio, che , in quanto geopolitica, è alterazione culturale del dato reale) docu-mentando la veduta fin dove arriva l’estensione fisiologica dello sguardo.

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4- mostra al C.I.A.C.

Sguardo esatto puntato anche su Mosca. Città rivisitata da Basilico nelle cele-brazioni architettoniche staliniane con la memoria fissa al Costruttivismo in cui le prospettive diagonali di Rodchenko si misurano con le cadute in picchiata di Alexander Mialovic. Gabriele Basilico analizza lo spazio costruito dagli edifici e dalla scala urbana, misurando il rigore del punto di vista sul crinale del chiaro e dello scuro sotto una luce a picco che descrive le cose con l’implacabile esattezza dell’école su régard. In questo sorvolo disincantato nessuna passione per l’esotismo socializzante di realtà inimmaginabili a Londra o a Parigi; né per le folle malvestite in coda davanti al Mausoleo di Lenin o col naso all’insù verso la bandiera rossa che, sulla torre centrale del Cremlino, garrisce senza posa perché alimentata da un potente ventilatore nascosto allo sguardo; né la coabitazione dell’Homo Sovieticus nelle Kommunalka, gli scarafaggi dentro l’hotel National, o la magia insuperabile della Piazza Rossa, sulla quale la cat-tedrale di San Basilio emerge come un miraggio incantato. La passione di Gabriele Basilico per questa città si concentra sulle torri staliniane (volute dal “grande architetto” con il piano generale del 1935, ghirlanda e sistema stellare radiante attorno a un gigantesco Palazzo del Soviet mai realizzato) vere e proprie vette del socialismo reale ideologicamente alternative ai grattacieli USA e alla architettura capitalista nuovayorkese del Waldorf Astoria di Shultze & Weaver, dalla cui sommità affondare lo sguardo a perdita d’occhio fino alle colline e alle anse estreme della Moscova, energia naturale innervante che tempera la durezza implacabile del costruito dalla progettualità umana.

L’occhio di Gabriele Basilico è così poco incline allo stereotipo di Mosca come città grigia, austera ed impoetica, da registrare non solo l’impercettibile trasco-lorare dei passaggi di luce nelle diverse ore delle riprese; ma di restituire quella tonalità cromatica delicata e sobria che anche dalle facciate dei palazzi permette di leggere la bellezza triste, profonda e commovente dello spirito slavo.

Foto 1-4 di www.gruppobento.com


 
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Locandina
Articolo di Italo Tomassoni
Trascrizione intervento “Achille Bonito Oliva all'incontro con Gabriele Basilico”
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