Achille Bonito Oliva all’incontro con Gabriele Basilico – trascrizione

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Foligno, sabato 05 febbraio 2011

Palazzo Trinci.

Trascrizione della conferenza tenuta da Achille Bonito Oliva a Foligno a conclusione della mostra Milano ritratti di fabbrica – Mosca verticale – Istanbul a cura di Italo Tomassoni, ordinata nel Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno

Basilico ha parlato di sé e anche io parlerò di me di quello che oggi l’arte può fare. Che cos’è l’arte? Intanto possiamo dire che sono tutte le opere pubblicate nei libri di storia dell’arte. E questo vale come catalogo nell’arte antica. E’ per l’arte contemporanea per la modernità, per l’attualità che scatta un giudizio più ansioso, precario e problematico.

Se noi ci riallacciamo al Rinascimento troviamo una definizione straordinaria di Leon Battista Alberti il quale diceva che l’arte è una forma di difesa per l’uomo. Si capisce che in quel momento storico ciascuno è artefice della propria fortuna e dunque c’era un grande investimento di fiducia dell’uomo nella storia, nel fare attraverso il progetto. L’uomo di ragione era il primate nella scala degli animali viventi in quanto portatore di ragione.

Nel Rinascimento nasce questo atteggiamento antropocentrico in cui l’uomo è al centro dell’Universo e l’arte ne rappresenta la centralità. Questa centralità viene rappresentata dalla costruzione. L’uso della geometria includeva l’affermazione dei principi di armonia, simmetria eproporzione. La prospettiva dava l’illusione visiva della terza dimensione, della profondità. Ed ecco che in questa profondità si situa un uomo, un uomo al centro della scena, il principe al centro della Corte con la natura che fa da sfondo. Nel Rinascimento dunque si afferma una iconografia di bellezza immanente quasi laica a partire dalla certezza di un modo posseduto e controllato della ragione.

 

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Se arriviamo a Baudelaire ricordiamo che, appunto, l’arte misura, cattura, recinta la bellezza. Baudelaire diceva che la bellezza è una promessa di felicità.Quindi l’arte come forma di difesa dell’uomo significa anche l’arte come forma di conferma dell’uomo. Che cosa succede dopo un periodo che non è così lungo come sembra? Il vero Rinascimento non dura oltre 30-40 anni anche se c’è stata una lunga incubazione.

Succede che subentra un periodo destabilizzante frutto di una serie di eventi, storici, culturali, filosofici, morali, religiosi, economici.

Intanto la scoperta dell’America, 1492, quando si scopre che c’è un continente molto più vasto dell’Europa.

Poi nel 1527 c’è il sacco di Roma. Carlo V con i suoi lanzichenecchi occupa la Chiesa di San Pietro e vi bivacca per un anno destabilizzando e scioccando l’opinione pubblica cattolica. C’è Riforma e Controriforma. Lutero che stigmatizza la corruzione della Chiesa romana e invoca un ritorno ai principi di povertà francescana. C’è la chiesa cattolica che risponde dall’altra parte con la controriforma a Trento, il controllo della creatività e l’obbligo per ogni artista di avere accanto, nel momento in cui esegue un’opera di carattere religioso, un confessore, un prete, un monaco. C’è Copernico che smentisce Tolomeo, non è il sole che gira intorno alla terra, è la terra che gira intorno al sole quindi è la terra il satellite, non è la terra il centro dell’Universo.

 

Ecco che entra in crisi l’antropologia, la visione antropocentrica del mondo. C’è Machiavelli che con il suo realismo politico scopre, smaschera le false idealità della politica e anche nella filosofia c’è lo spostamento, il passaggio da una visione aristotelica a una visione neoplatonica.

L’arte è la rappresentazione del mondo delle idee e Marsilio Ficino afferma per esempio che il Centro dell’animo umano, l’essenza è l’ansietas.

Ecco che l’artista si torva destabilizzato rispetto a un’epoca come quella precedente imbevuta di sicurezza; non ha fiducia nel futuro, si rifugia nella memoria, nella citazione e nel passato. E lo fa con un paradosso.

Per rappresentare un mondo in crisi utilizza uno strumento come la prospettiva che è frutto della sicurezza rinascimentale ma la citazione è deviata. Poiché, in fondo, tradurre significa tradire, ecco che la prospettiva diventa policentrica asimmetrica fino ad arrivare alla anamorfosi.

Pensate il quadro di Holbein dei due ambasciatori che dialogano accanto a un tavolo, descritti minuziosamente. C’è come un siluro che attraversa lo spazio e per capire che è un teschio bisogna mettersi in una posizione di lateralità da cui è possibile ricostruire l’immagine. Ecco come si frantuma la visione frontale. Vi ho descritto il Manierismo che significa “alla maniera di”. La prospettiva di Raffaello, Michelangelo e Leonardo viene utilizzata da Bronzino, Parmigianino, Pontormo, Rosso Fiorentino senza le certezze dei maestri; anche il colore si attenua diventa elettrico, tutto è frutto di memoria e di citazione. L’arte diventa metalinguaggio perché tutto deriva da una memoria linguistica precedente la realtà dell’arte e il linguaggio stesso.

Per questo io ho sempre pensato che da lì nasce l’arte contemporanea: da questa concettualità che è anche la sprezzatura e l’abilità dell’artista.

Se noi confrontiamo quel periodo (su cui io ho scritto un libro intitolato l’Ideologia del traditore e che poi ho approfondito scrivendo su Arcimboldo e su Monsù Desiderio, insomma sul Manierismo) con la contemporaneità è chiaro che negli anni ’80 e dalla seconda metà degli anni ’70, attraverso la Transavanguardia, si viveva in un’epoca di Neomanierismo come citazione, eclettismo stilistico, convergenza tra astratto e figurativo, interagenza della linearità con la storia delle Avanguardie, con le tradizioni laterali e il genius loci. Con il recupero della soggettività l’arte torna a porsi a difesa dell’uomo in quanto l’uomo continua, ancora a rappresentare il principio di bellezza. Certo si tratta di una bellezza, precaria, sfuggente, ansiosa, ed è chiaro che questo è il lato struggente dell’arte di oggi; andare quasi volontariamente verso lo scacco verso l’impossibilità, di fondare un principio di bellezza definitivo. E questo perché sono entrate in campo, nel solo scorso, tecniche di riproduzione fotografia, cinema, video, oggi internet; c’è stata una irruzione del tempo, nel secolo scorso, che ha destabilizzato tutti i linguaggi. In fondo Basilico che cosa è ? uno storico dell’istante, fotografa profili di città ma nella sua onestà culturale ha ricordato che è un genere che è sempre esistito. Certamente la fotografia ha stimolato l’arte e non a caso i primi impressionisti si riunivano nell’atelier di uno studio fotografico; e l’arte stimola il fotografo, c’è questo scambio, questo flusso, questo sconfinamento e direi che il tempo è ciò che segna il passaggio, il che implica che la bellezza è un transito che ha quasi un suo ritmo biologico , trascorre, non può essere fissata, definita, non può essere assoggettata. Allora perché è interessante capire come mai in un’epoca di crisi

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come la nostra la preconizzata morte dell’arte non si è mai realizzata? A parte che il concetto è stato travisato perché quando Hegel parla della morte dell’arte vuol dire che è la filosofia che prende il suo spazio in quanto si configura. Se si legge Heidegger si capisce che arriva fino alla qualità letterale della scrittura. L’arte è un bisogno biologico dell’uomo. Siamo tutti creativi ma solo gli artisti sono creatori.

Esiste una creatività diffusa rivendicata anche dal famoso slogan dell’immaginazione al potere (che veniva da Breton, dal Surrealismo), che il ’68 pareggiò nel giudizio definendo tutti creativi e contestando anche l’arte. E’ da qui che nasce l’equivoco della moda. Gli stilisti non sono artisti sono artieri, l’artista è uno che crea, formalizza il proprio impulso e poi destina l’opera. Lo stilista prima fa un book, una indagine di mercato e poi realizza la sua collezione. La moda è lo slittamento all’artistico verso l’estetico. Niente di male ma perché tutto è ormai trasferito sul piano della comunicazione. Oggi anche la politica opera sulla comunicazione. Viviamo un’epoca che io definisco peronismo mediatico in cui a parte il monopolio dei media televisivi da parte del Presidente del Consiglio e di una serie di case editrici c’è l’atteggiamento che ha svuotato (e anche qui Nietzsche è stato premonitore) quando dicevo che andavamo incontro ad un’epoca di irrilevanza volevo riferirmi appunto al tempo comico, il superamento del tragico, lo svuotamento, che Heidegger attribuisce alla tecnica, della realtà. Nel momento in cui la televisione diventa il modello è come se vincesse il principio della pubblicità, dell’informazione e della comunicazione quindi anche in politica l’efficacia è segnata dalla capacità di bucare lo schermo ma non per i contenuto che si portano. E’ per questo che secondo me, D’Alema non potrà mai vincere anche fisicamente. Senza offesa, D’Alema è un uomo intelligente ma il problema è che, senza dubbio a sinistra manca la cultura della comunicazione; a destra ce ne è troppa. Tutto questo era per dire che l’arte, perché io sto qui a parlare d’arte, malgrado l’epoca di imperialismo mediatico, malgrado lo svuotamento dei contenuti, la crisi economica, la confusione tra malaffare e malcostume, l’arte continua nel suo impulso antisociale perché c’è nell’artista un impulso inizialmente distruttivo perché, come diceva Nietzsche, per costruire bisogna prima distruggere. Quindi l’arte produce quella che io chiamo una catastrofe linguistica distruttiva del linguaggio codificato e della codificazione collettiva e introduce un elemento bizzarro di soggettività. E’ questo il paradosso dell’arte: comincia come rivolta, atto solitario e poi sente il bisogno di parlare e per ciò ci sono i Musei. Perché oggi i musei sono pieni e vi parlo di quelli di arte contemporanea? D’altra parte l’arte antica ha sempre raccolto consenso; in fondo l’Italia è un grande museo all’aperto, beni e cultura fin troppi, anche se mal conservati, perché in Italia solo l’emergenza fa scoprire la precarietà idrogeologica del territorio o il crollo del muro , no di Berlino, ma di Pompei.

Ma l’arte contemporanea prosegue ed è cosa interessante. Qui io rivendico a livello teorico, con i miei saggi e i miei libri dall’Ideologia del traditore alla Transavanguardia, questo superamento che io chiamo l’ideologia del Darwinismo linguistico, l’idea evoluzionistica di un arte che si evolve in termini lineari provenendo da quelli che sono gli antenati nobili, le avanguardie storiche, fino ad arrivare agli anni ’70.

In realtà questo è un principio che non è stato scoperto da me ma tutta la postmodernità definisce il superamento di questa linearità. Non è a caso che, a partire dagli anni 80 non si sono formati nuovi gruppi di artisti perché in realtà non è più il momento delle tendenze. Però io trovo che si stiano definendo adesso delle aree che mi permetto di individuare. Mentre negli anni 80-90 durante quello che è stato chiamato anche l’edonismo reaganiano, c’è l’esplosione della moda una cash mondiale che tutti conosciamo. L’esplosione delle collezioni, la nascita dei nuovi musei; negli anni ’90 c’è la crisi. In questo periodo si è affermato anche l’avvento degli archistar, (alcuni bravi) in generale competitivi con gli artisti, narcisisti produttori di opere performative tautologiche, spesso grandi sculture all’aperto calate dall’alto come dei gadget senza contatto con il territorio anche perché l’archistar si è irrobustito con la memoria facendo uso delle arti visive. Negli anno ’90 accanto agli archistar si afferma anche una generazione di artisti che va da Cattelan a Vanessa Beecroff con opere che io definisco performative in quanto puntano tutto sulla comunicazione e lo scambio. Ma, a questo riguardo, il problema è questo: se l’arte diventa solo comunicazione e adotta solo metodi e strumenti che provengono dalla pubblicità e dalla televisione ecco che c’è una perdita di ruolo. L’artista invece serve a sviluppare nuovi processi di conoscenza, a massaggiare il muscolo atrofizzato della contemplazione collettiva. Per ridare profondità al mondo ecco che l’arte con i suoi metodi e i suoi procedimenti sviluppa una visione del mondo e della vita. Se debbo indicare chiamiamolo pure una spartitraffico del sistema dell’arte nazionale, questo deve individuarsi nell’11 settembre quando il terrorista con l’aereo buca la torre, la prima torre delle torri gemelle. Dove sta la novità? Vi assicuro che io sono stato testimone di quell’evento in quanto da Roma stavo al telefono con la televisione accesa e ho pensato: i soliti americani che non hanno la guerra in casa e la fanno alla televisione rappresentando che un aereo buca la torre. Ho continuato a stare al telefono. Avevo basso il volume ed ecco la cosa straordinaria, come l’arte indirettamente insegna dei metodi al giornalismo perché ciò che ha determinato il primo buco ha fatto sì che subito la CNN si è collegata sicché io ho assistito in diretta al secondo buco con tutto il mondo. 4 miliardi di persone che hanno potuto assistere a questo atto di terrorismo che essendo mediatico è stato molto più esplosivo, efficace, e ha comunicato con un pubblico estremamente vasto. Chi c’è dietro questo modello? Vi faccio una domanda. Chi lo sa alzi la mano. Vedo che non siete molto intelligenti! Ve lo dico io. E’ chiaro che c’è Andy Warhol. Se voi andate al Moma a New York c’è una saletta aperta, nemmeno al buio, dove c’è un’opera del 1962 e che si chiama Empire State Building.

E un video che dura otto ore, visione frontale, ed è la ripresa di questo spazio, cioè l’idea che la realtà esiste se viene riprodotta , ripresa, perché Warhol riprende questa architettura, fregando Basilico, con il tempo reale; forse passa un gabbiano, un qualcosa ma non succede nulla. E’ frontale. Ed è chiaro che, involontariamente tutto si globalizza, compreso il terrorismo. C’è dietro forse, quasi inconsciamente, questa lezione: che la realtà, se riprodotta, esiste e l’atto di terrorismo se viene trasmesso in diretta vale più della notizia data successivamente.

Questo ha creato un grande choc anche nell’arte. E’ da lì che ho cominciato a vedere una ripartizione bipolare del lavoro dell’arte.

Da una parte ci sono artisti (e io feci delle mostre non a caso nella Certosa di Padula (pure tu caro Basilico stavi a Padula, dimmi dove non ti ho messo) dove vedevo un ripiegamento, positivo; quindi una ripresa, direi postconcettuale di strumenti di analisi e di indagine fino a sfidare anche la possibilità di rappresentare uno stato d’animo e una spiritualità. Dopo la crisi dell’ideologia l’artista si espone non c’è più il timore sessantottino di essere segnalato come bigotto o ritardatario. Dall’altra parte ci sono artisti che puntano sul sociale e del resto, con modelli come Beuys, la cultura europea ha questa matrice: comunicare e maturare attraverso l’arte pubblica, un’arte che nasce spesso come committenza ad intervenire nella società. Un’arte come dimensione sociale e che si confronta con i suoi interventi, con il paesaggio; che deve catturare la attenzione collettiva, bucare l’immaginario di una opinione pubblica e di una società di massa che vive in maniera scorrevole tutto ciò che la circonda; che deve creare degli inciampi visivi e non solo. Questa apertura sul sociale porta gli artisti a fare delle indagini vere e proprie ad introdurre nel loro lavoro sociologia e antropologia. Così si afferma il Multiculturalismo, il superamento del centralismo che, già era in crisi perché come sapete nella prima metà del XX secolo il Centro era Parigi, nella 2° metà era diventato New York. Però con la Transavanguardia, con il recupero del genius loci e dell’identità nasce il multiculturalismo, si crea un policentrismo che si diffonde sempre più. Oggi questo policentrismo ha dei caratteri molto accentuati nei paesi asiatici e nei paesi orientali dove c’è una forte nuova ricchezza come India, Corea, Indonesia, Brasile. Ci sono artisti come Suid Mira Ellis in Brasile ma anche in Africa che si sono giustamente ripresi ciò di cui erano stati espropriati all’inizio del secolo attraverso le avanguardie storiche, il cubismo e anche l’idea del bricolage. Il cubismo di Picasso, il bricolage di Duchamp ha alle spalle culturalmente una antropologia che proviene dalla civiltà primitiva. Antonio Ole, King Les , o Sherry Saba, sono artisti africani che lavorano con strumenti che interagiscono con quelli occidentali. Qui c’è Virginia Rayan che, oltre a essere molto bella, è una artista che io seguo da molto tempo . Sono stato in Africa, lei lavora molto in Africa e fa un lavoro che contiene un’analisi comportamentale della società africana.C’è oggi una accelerazione, un trand di ripresa, di attenzione verso il sociale (questo è positivo), che non si fa ricattare dai contenuti non è neorealismo e non depotenzia la ricerca. C’è la ricerca e il desiderio di sviluppare nuovi processi di conoscenza. Concludo: quello che si può rilevare con la mostra di Basilico, conferma uno slogan straordinario del più grande artista – per me – del XX secolo, il gran cannibale Pablo Picasso, che diceva: un’arte puntata sul mondo.

Grazie.


 
Documenti scaricabili
Trascrizione “Achille Bonito Oliva all’incontro con Gabriele Basilico”
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