Da Reporting From the Front a Freespace. Biennale Architettura 26/05-05/11/2018

Da Reporting From the Front a Freespace 

i concept delle due manifestazioni a confronto

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Articolo di approfondimento per la sezione Architettura e Design de

Il Cortile di Francesco 2018 : Differenze – programma generale e biglietti in www.cortiledifrancesco.it

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Biennale Architettutra 2016: Reporting from the front

Curatore: Alejandro Aravena, Elemental, Chile  

da http://www.labiennale.org/it/architettura/2016/intervento-di-alejandro-aravena

Intervento di Alejandro Aravena

MARIA REICHE

Durante un suo viaggio in America del Sud, Bruce Chatwin incontrò un’anziana signora che camminava nel deserto trasportando una scala di alluminio sulle spalle. Era l’archeologa tedesca Maria Reiche, che studiava le linee Nazca. A guardarle  stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano alcun senso, sembravano soltanto banali sassi. Ma dall’alto della scala, le pietre si trasformavano in uccelli, giaguari, alberi o fiori.

Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul deserto. Ma l’archeologa era abbastanza creativa da trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare l’incapacità di fare il nostro lavoro.

Contro la scarsità di mezzi: l’inventiva.

D’altra parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della vettura e guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta spostare con maggiore rapidità. Ma questa scelta avrebbe distrutto l’oggetto del suo studio. Quindi, in questo caso, si è arrivati a una valutazione intelligente della realtà grazie all’intuizione dei mezzi con cui prendersene cura.

Contro l’abbondanza: la pertinenza.

LA MOSTRA:  UN NUOVO PUNTO DI VISTA

Vorremmo che la 15. Mostra Internazionale di Architettura offrisse un nuovo punto di vista, come quello che Maria Reiche aveva dall’alto della scala. Di fronte alla complessità e alla varietà delle sfide che  l’architettura deve affrontare, REPORTING FROM THE FRONT si propone di ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia, e di conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienze, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo.

L’architettura si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. Non è più complicato, né più semplice di così. Questi spazi comprendono case, scuole, uffici, negozi e aree commerciali in genere, musei, palazzi ed edifici istituzionali, fermate dell’autobus, stazioni della metropolitana, piazze, parchi, strade (alberate o no), marciapiedi, parcheggi e l’intera serie di programmi e parti che costituiscono il nostro ambiente costruito.

La forma di questi luoghi, però, non è definita soltanto dalla tendenza estetica del momento o dal talento di un particolare architetto. Essi sono la conseguenza di regole, interessi, economie e politiche, o forse anche della mancanza di coordinamento, dell’indifferenza e della semplice casualità. Le forme che assumono possono migliorare o rovinare la vita delle persone. La difficoltà delle condizioni (insufficienza di mezzi, vincoli molto restrittivi, necessità di ogni tipo) è una costante minaccia a un risultato di qualità.

Le forze in gioco non intervengono necessariamente a favore: l’avidità e la frenesia del capitale, o l’ottusità e il conservatorismo del sistema burocratico, tendono a produrre luoghi banali, mediocri, noiosi. Ancora molte battaglie devono essere dunque vinte per migliorare la qualità dell’ambiente costruito e, di conseguenza, quella della vita delle persone.

Inoltre, il concetto di qualità della vita si estende dai bisogni fisici primari alle dimensioni più astratte della condizione umana. Ne consegue che migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti, dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire l’espansione delle frontiere della civilizzazione.

La nostra proposta curatoriale è duplice: da una parte, vorremmo ampliare la gamma delle tematiche cui ci si aspetta che l’architettura debba fornire delle risposte, aggiungendo alle dimensioni artistiche e culturali che già appartengono al nostro ambito, quelle sociali, politiche, economiche e ambientali. Dall’altra, vorremmo evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più di una dimensione alla volta, integrando più settori invece di scegliere uno o l’altro.

REPORTING FROM THE FRONT riguarderà la condivisione con un pubblico più ampio dell’opera delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi campi di azione, offrendo esempi in cui più dimensioni vengono sintetizzate, integrando il pragmatico con l’esistenziale, la pertinenza con l’audacia, la creatività con il buonsenso. Questi sono i fronti da cui vorremmo che vari professionisti ci dessero notizie, condividendo storie di successo e casi esemplari in cui l’architettura ha fatto, fa e farà la differenza.

QUATTRO DIVERSE ANGOLAZIONI

Per individuare tali esempi, siamo partiti da quattro diverse angolazioni:

  1. Temi
    Siamo giunti a un elenco di problematiche da affrontare. Disuguaglianza, sostenibilità, insicurezza, segregazione, traffico, inquinamento, spreco, migrazione, calamità naturali, casualità, periferie e carenza di alloggi sono problemi in cui i bisogni primari i diritti umani sono a rischio. Siamo andati a cercare professionisti creativi, innovativi e desiderosi di avventurarsi in campi così complessi. Inoltre, abbiamo capito che problematiche quali mediocrità, banalità e monotonia dei luoghi in cui viviamo stanno ugualmente minacciando la qualità della vita. Quindi abbiamo invitato questi professionisti coerenti e solidi che costituiscono una sorta di resistenza e di “riserva naturale” dell’architettura contro queste minacce.
  2. Progetti
    Eravamo a conoscenza di progetti che secondo noi avevano apportato un contributo, per cui abbiamo voluto conoscere la storia, le difficoltà, i momenti critici e le strategie messe in atto per arrivare alla loro realizzazione.
  3. Architetti (o professionisti)
    Abbiamo contattato coloro che ammiriamo, o che avevano alle spalle una produzione qualitativamente costante. Abbiamo chiesto loro di cosa si fossero occupati di recente o quali sarebbero stati i loro progetti futuri. In breve: bravi architetti.
  4. Candidature spontanee
    Da ultimo, La Biennale ed Elemental hanno cominciato a ricevere candidature spontanee di persone o progetti di cui non si era a conoscenza.

Continuando su questa linea, siamo passati a invitare le persone. Non ci eravamo prefissati alcuna quota geografica, di età o di genere: abbiamo cercato soltanto la qualità. Alcuni non hanno mai risposto. Altri hanno declinato l’invito sostenendo che, pur interessati al tema, non avevano abbastanza tempo per fornire una risposta appropriata. La maggior parte ha accettato la sfida e ha iniziato un dialogo con il team curatoriale.

Volevamo che la selezione finale fosse in grado di evidenziare alcune caratteristiche: per esempio, desideravamo dare risalto a quegli studi che, anche nelle circostanze più convenzionali (costruire edifici), hanno risposto con precisione e coerenza alle richieste, hanno realizzato i bisogni e i desideri che li avevano originati, resistendo alla prova del tempo. Volevamo insistere (e continueremo a farlo finché non diventerà un denominatore comune) su quegli esempi che, evitando tendenze e mode, hanno resistito alla tentazione di inutili orpelli. Volevamo riuscire a mettere insieme una certa “massa critica” di architetti, più o meno giovani, più o meno famosi, che fossero alla ricerca di un infinito senza tempo, pur rimanendo desiderosi di rispondere alle sfide dei nostri giorni. Abbiamo cercato progetti capaci di integrare più di una dimensione alla volta, componendo vecchie tematiche in modo originale, per muoversi in avanti. In ogni caso, era fondamentale ci fosse una proposta; limitarsi a sollevare la consapevolezza di un problema (o fare ricerca), a prescindere da quanto rilevante fosse la sfida, non era abbastanza.

L’importanza del problema o la difficoltà delle circostanze non dovrebbe giustificare i professionisti dal non rispondere con un’architettura di qualità. Né era sufficiente l’approccio opposto: edifici belli, ma che non riescono a esprimere quale problema cerchino di affrontare non sono stati selezionati. Abbiamo fatto del nostro meglio per scegliere esempi che affrontano un problema importante e per il quale una architettura di qualità ha fatto la differenza.

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Biennale Architettutra 2018: Freespace

Curatrici: Yvonne Farrell e Shelley McNnamara, Ireland

da http://www.labiennale.org/it/architettura/2018/intervento-di-yvonne-farrell-e-shelley-mcnamara

Intervento di Yvonne Farrell e Shelley McNnamara

Abbiamo utilizzato il Manifesto FREESPACE, diffuso nel giugno 2017 (vedi testo seguente), come strumento e punto di riferimento per realizzare questa Mostra. Si è dimostrato uno strumento solido. Ci è servito come misura e come guida per trovare una coesione nella complessità di una Mostra di enormi dimensioni.

Ma soprattutto, la risposta che ci è pervenuta da ogni partecipante invitato è stata entusiasta. Il Manifesto FREESPACE è stato interrogato, sviscerato e interpretato dall’intelligenza e dalla creatività di architetti di tutto il mondo.

Negli ultimi mesi, abbiamo acquisito piena consapevolezza dell’ubicazione eccezionale della Biennale nella città di Venezia. La nostra intenzione è di creare un legame fra la Mostra e questa città unica. Non direttamente, ma nel senso di una più acuta consapevolezza. In altre parole, il nostro approccio prevede che il contesto e l’aria di Venezia siano presenti nell’atmosfera della Mostra.

Abbiamo affrontato questa Mostra in qualità di architetti. Abbiamo considerato gli edifici esistenti come siti specifici, come nostro contesto. Il progetto della Mostra vuole rivelare le qualità delle Corderie e del Padiglione Centrale. La dimensione eroica delle Corderie con la struttura ripetitiva in mattoni e la sua luce mutevole contrasta con la qualità luminosa della luce zenitale nel Padiglione Centrale.

Abbiamo elevato la sensibilità a queste atmosfere contrastanti all’interno dei due edifici e la nostra strategia curatoriale ne è stata nutrita e arricchita. Nel trovare risposta a queste qualità, abbiamo apprezzato l’effetto che ha avuto sulle nostre scelte e sul collocamento dei partecipanti.

È adesso che si svela l’elenco dei partecipanti.

È meraviglioso pensare che da mesi architetti di tutto il pianeta stiano pensando e preparando risposte al Manifesto FREESPACE, per cercare di comunicare il significato del loro lavoro, impegnandosi in una indagine profonda che sveli l’ingrediente FREESPACE che si annida nei loro progetti.

Abbiamo invitato partecipanti da tutto il mondo.

A quelli che non sono stati invitati, che sono i nostri rispettati colleghi, vorremmo dire che abbiamo scelto dei ‘campioni’ che speriamo possano esprimere dei valori architettonici condivisi ai quali loro stessi hanno contribuito.

Crediamo che la pratica dell’architettura significhi perseverare, impegnarsi e rigenerare la continuità della cultura architettonica. Dobbiamo prenderci cura della cultura, come si prende cura di un giardino. Nell’architettura il tempo non è lineare. L’architettura ricompone il passato, il presente e il futuro. Il tema è rappresentato da un approfondimento speciale all’interno della Mostra dove il passato è reso vivo dal nuovo punto di vista degli architetti contemporanei.

Una componente essenziale per assicurare la continuità della tradizione in architettura è la pratica dell’insegnamento. Molti dei professionisti invitati sono attivi nel campo della didattica. Il mondo del fare e del costruire si fonde con il mondo dell’immaginazione che viene valorizzato dalla Mostra.

Abbiamo scoperto invenzione e creatività alla micro e alla macro scala: edifici storici liberati dall’intelligenza degli architetti; edifici dimenticati rivisitati e riportati alla vita; tipologie trasformative dell’abitare; necessità infrastrutturali tradotte in strutture pubbliche e civiche.

Apprezziamo enormemente l’impegno e la passione dei partecipanti. È stata una rivelazione vedere come architetti provenienti da tutto il mondo abbiano dato risposte così diverse a seconda delle condizioni climatiche e culturali, a seconda delle tradizioni tecnologiche e costruttive. Allo stesso tempo è importante notare come al centro della varietà del lavoro dei singoli architetti ci sia un elemento di condivisione, la ‘Terra come cliente’, una componente essenziale del nostro Manifesto.

Per quanto riguarda il significato della parola FREESPACE, siamo felicissime dell’impegno globale degli architetti invitati e dei Paesi partecipanti al suo processo di traduzione. Quando abbiamo scritto il Manifesto, volevamo che contenesse soprattutto la parola spazio. Volevamo scovare anche nuovi modi di utilizzare le parole di ogni giorno, che potessero in qualche modo portarci tutti a ripensare il contributo aggiuntivo che noi, come professionisti, possiamo fornire all’umanità. Per noi l’architettura è la traduzione di necessità – nel significato più ampio della parola – in spazio significativo. Nel tentativo di tradurre FREESPACE in uno dei tanti splendidi linguaggi del mondo, speriamo che possa dischiudere il ‘dono’ che l’invenzione architettonica ha la potenzialità di elargire con ogni progetto. La traduzione ci permette di mappare e di rinominare il territorio intellettuale e quello vero. La nostra speranza è che la parola FREESPACE ci permetta di sondare le aspirazioni, le ambizioni e la generosità dell’architettura.

MANIFESTO DI YVONNE FARRELL E SHELLEY MCNAMARA

FREESPACE

FREESPACE rappresenta la generosità di spirito e il senso di umanità che l’architettura colloca al centro della propria agenda, concentrando l’attenzione sulla qualità stessa dello spazio.

FREESPACE si focalizza sulla capacità dell’architettura di offrire in dono spazi liberi e supplementari a coloro che ne fanno uso, nonché sulla sua capacità di rivolgersi ai desideri inespressi dell’estraneo.

FREESPACE celebra l’abilità dell’architettura di trovare una nuova e inattesa generosità in ogni progetto, anche nelle condizioni più private, difensive, esclusive o commercialmente limitate.

FREESPACE dà l’opportunità di enfatizzare i doni gratuiti della natura come quello della luce – la luce del sole, quella lunare, l’aria, la forza di gravità, i materiali – le risorse naturali e artificiali.

FREESPACE invita a riesaminare il nostro modo di pensare, stimolando nuovi modi di vedere il mondo e di inventare soluzioni in cui l’architettura provvede al benessere e alla dignità di ogni abitante di questo fragile pianeta.

FREESPACE può essere uno spazio di opportunità, uno spazio democratico, non programmato e libero per utilizzi non ancora definiti. Tra le persone e gli edifici avviene uno scambio, anche se non intenzionale o non progettato, pertanto anche molto tempo dopo l’uscita di scena dell’architetto gli edifici stessi trovano nuove modalità di condivisione, coinvolgendo le persone nel corso del tempo.

L’architettura ha una vita attiva e al contempo passiva.

FREESPACE abbraccia la libertà di immaginare lo spazio libero di tempo e memoria, collegando passato, presente e futuro, costruendo sulle stratificazioni della nostra eredità culturale, legando l’arcaico e il contemporaneo.

Con il tema Freespace la Biennale Architettura 2018 presenterà al pubblico esempi, proposte, elementi – costruiti o non costruiti – di opere che esemplificano le qualità essenziali dell’architettura; la modulazione, la ricchezza e la materialità delle superfici, l’orchestrazione e la disposizione in sequenza del movimento, rivelando le potenzialità e la bellezza insite nell’architettura.

La Mostra avrà una presenza spaziale e fisica su una scala e con caratteristiche tali da avere un forte impatto sul visitatore, comunicando la complessa natura spaziale dell’architettura.

La Mostra propone un coinvolgimento emotivo e intellettuale dei visitatori che verranno alla Biennale, per comprendere l’architettura, stimolare il dibattito sui valori centrali dell’architettura e celebrare il contributo reale e duraturo che l’architettura offre all’umanità.

Quando Jørn Utzon ha pensato alla seduta di cemento coperta di piastrelle all’entrata del Can Lis, a Maiorca, l’ha concepita modellandola perfettamente sul corpo umano per il suo comfort e benessere. A livello spaziale essa rappresenta una “parola” di saluto e benvenuto.

Angelo Mangiarotti “dice” la stessa cosa all’entrata del civico 24 di via Quadronno a Milano, in cui un corridoio in leggera pendenza con una seduta alla soglia dell’entrata vi “trattiene” e vi dà il benvenuto mentre fate ritorno dalla città.

Lina Bo Bardi eleva il museo di arte moderna di San Paolo per realizzare un belvedere affinché i cittadini possano godere della vista sulla città.

Palazzo Medici Riccardi a Firenze rappresenta potere e ricchezza, ma le sedute di pietra che disegnano la maestosa facciata esterna quasi rovesciano l’edificio. Così l’imponente parete esterna rappresenta anche un muro che racchiude uno spazio pubblico. La struttura solida sembra volgersi all’esterno assumendo un carattere generoso.

Siamo convinti che tutti abbiano il diritto di beneficiare dell’architettura. Il suo ruolo, infatti, è di offrire un riparo ai nostri corpi e di elevare i nostri spiriti. La bella parete di un edificio che costeggia la strada dona piacere ai passanti, anche se non vi entreranno mai. Lo stesso piacere è dato dalla vista di una corte attraverso un portale ad arco o un luogo nel quale trovare un punto di sosta per godere di un po’ di ombra o una nicchia che offre riparo dal vento o dalla pioggia.

Ciò che ci interessa è andare oltre ciò che è visibile, enfatizzando il ruolo dell’architettura nella coreografia della vita quotidiana.

Noi consideriamo la Terra come un Cliente. Questa visione implica una serie di responsabilità a lungo termine. L’architettura è il gioco di luce, sole, ombra, luna, aria, vento, forza di gravità con modalità che rivelano i misteri del mondo e tutte queste risorse sono gratuite.

Nella 16. Mostra Internazionale di Architettura si celebrano gli esempi di generosità e di sollecitudine nell’architettura in tutto il mondo. Siamo convinti che queste qualità sostengano la capacità fondamentale dell’architettura di promuovere e supportare il contatto importante che sussiste tra le persone e lo spazio. Concentriamo la nostra attenzione su queste qualità perché pensiamo che l’ottimismo e la continuità ne siano parte costitutiva. L’architettura che incarna queste qualità con generosità e desiderio di scambio è proprio ciò che chiamiamo Freespace.

Invitiamo tutti i partecipanti e tutti i padiglioni nazionali a presentare a Venezia il proprio Freespace, in modo che insieme si possa rivelare la diversità, la specificità e la continuità nell’architettura sulla base delle persone, dei luoghi, del tempo e della storia, per promuovere la cultura e l’importanza dell’architettura in questo dinamico pianeta.»

“Una società cresce e progredisce quando gli anziani piantano alberi alla cui ombra sanno che non potranno sedersi”, proverbio greco.

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