Pascal Manoukian. Derive. Presentazione di Claudio Vinti

Derive

Pascal Manoukian

Traduttore: F. Bononi
Edizioni 66th and 2nd, pp. 237 – 2016

Descrizione da www.ibs.it

Tre uomini costretti ad abbandonare il proprio paese in cerca di una vita migliore per la loro famiglia e per sé stessi, tre esistenze destinate a incrociarsi, tre viaggi con il medesimo punto d’arrivo: Villeneuve-le-Roi.
Il moldavo Virgil si nasconde sotto il pianale di un camion per lasciarsi alle spalle gli anni di comunismo che hanno messo in ginocchio la sua terra. Assan scappa con l’unica figlia ancora in vita, travestita da maschio, da una Mogadiscio in piena guerra civile e preda di stupri e saccheggi. Chanchal fugge da Dacca, la capitale di un Bangladesh poverissimo, colpito da cicloni ricorrenti che spazzano via cose e persone. Ad attenderli in Francia troveranno, però, nuove privazioni e sofferenze, e nella quotidiana lotta per la sopravvivenza impareranno insieme a battersi per conservare la loro dignità e riconquistare la speranza nel futuro. Un libro potente e tragicamente attuale benché ambientato nel 1992, nel periodo successivo alla caduta del blocco comunista e alla firma della convenzione di Schengen. Un romanzo sul dramma della clandestinità e sui tanti a cui la vita non lascia scelta.

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Presentazione a Umbrialibri 2016

di Claudio Vinti

 Encore un reportage sur l’immigration, me suis-je dit ! Poi quando il libro mi è stato recapitato perché potessi leggerlo in vista di questa presentazione, nella terza di copertina ho visto che l’editore lo pubblicizza come romanzo. Peggio che mai, penso tra me e me. Se un reportage sugli immigrati non può non contenere sempre spunti di interesse, un romanzo no! mi sembrava proprio indigeribile. Con questo stato d’animo e con un po’ di diffidenza ho cominciato a leggerlo. Capitolo dopo capitolo, una volta compresa la struttura a incastro del plot, non mi sono più fermato e l’ho letto tutto d’un fiato. Quasi involontariamente mi sono ritrovato ad accelerare la lettura per arrivare alla conclusione: confesso che ero curioso di conoscere il finale. Però! Mi sono detto, questo libro (questo autore) è riuscito a istillarmi il desiderio di sapere come sarebbe andata a finire la vicenda dei protagonisti. Obiettivo raggiunto! « Never judge a book by its cover! », recita un proverbio inglese. Alla fine, mi sono trovato quasi knockout per i colpi ricevuti. Come un pugile sul ring. Perché questo libro è come un pugno nello stomaco, ricevuto all’improvviso, che ti lascia senza fiato. Sì perché questo romanzo (?) è un formidabile atto d’accusa contro la nostra cosiddetta “civiltà occidentale”. Una grande lezione per noi Europei abituati alle comodità della nostra vita quotidiana, alle quali non sapremmo rinunciare. O meglio, alle quali rinunciamo volentieri e spesso “rumorosamente” solo quando i media pubblicizzano manifestazioni sportive ai limiti della sopportabilità umana (maratone nel deserto con il rischio di perdersi e morire disidratati!) o esecrabili spettacoli televisivi ambientati in isole lontane per compiacere il sempre più folto gruppo di annoiate massaie davanti alla televisione. Possiamo, è vero, domandarci se i personaggi del libro di Pascal Manoukian sono veri oppure immaginari, frutto della sua fantasia. Ma, in fondo, che cosa cambia? Tutti noi incontriamo, quotidianamente, Moldavi e Rumeni, Singalesi, Somali ed Eritrei. Quotidianamente i nostri telegiornali aprono i loro servizi con titoli ormai abusati: “ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo”. Morti e dispersi, donne incinte e bambini, in un ormai indigeribile refrain che rischia di far andare di traverso il pranzo o la cena degli Italiani. Già, la cena degli Italiani! È proprio di questo che mi sono vergognato leggendo il libro di Pascal Manoukian: di continuare a pranzare o a cenare con le immagini di corpi senza vita che scorrono ormai quasi fastidiose o noiose nei nostri telegiornali. Anche quando il corpo senza vita di Aylan, il bambino curdo fuggito da Kobane con il padre, ha fatto il giro del mondo e per un attimo è sembrato poter risvegliare le nostre coscienze. Mi sono vergognato di non indignarmi più di fronte a tanta tragedia e a tanto dolore. Addirittura di acconsentire, inconfessabilmente, ad ascoltare le ragioni di chi grida: basta! Non se ne può più! Non possiamo accogliere tutti! Quasi ci fosse un limite numerico nel diritto degli uomini a una vita migliore, alla felicità! Quasi si potesse installare un “taglia code” sulla sponda europea del Mediterraneo, procrastinando alle Calende greche i diritti di chi è “arrivato tardi”, fuori tempo… Potremmo meravigliarci venendo a sapere che il romanzo è ambientato nel 1992, quando ancora il problema dei migranti non era così pressante, ma la data deve far riflettere perché in più di trent’anni la questione migranti si è di molto aggravata e le vicende narrate nel libro, quasi assurde per il lettore distratto, sono drammaticamente all’ordine del giorno.

Derive ha sì una trama che ci permette di seguire le incredibili peripezie dei personaggi: Virgil, il Moldavo che fugge la sua terra sfigurata da decenni di dittatura comunista, Assan, il Somalo il cui unico obiettivo è quello di salvare la figlia Iman, già mutilata dalle folli tradizioni del suo paese, ormai in preda all’anarchia selvaggia di bande irregolari. E Chanchal, il Bengalese anche lui scappato in Francia per sfuggire alle ricorrenti catastrofi che mettono puntualmente in ginocchio il Bangladesh. Tutti questi personaggi, i cui destini si incrociano in modo romanzesco in un cantiere edile di Villeneuve-le-Roi, nella banlieue parigina, nei pressi dell’aeroporto di Orly, hanno vissuto le stesse, traumatiche vicende, percorrendo rotte tra loro lontanissime, eppure identiche nella loro drammatica somiglianza, che si ricongiungono quasi miracolosamente nel folto di una foresta, voluta secoli fa dai sovrani francesi per rallegrare ospiti regali. Tutti e quattro i personaggi hanno dovuto sopportare umiliazioni, violenze e privazioni inenarrabili, indebitandosi fino al collo e rischiando la morte in ogni momento. Giunti finalmente in Francia, nel paese dell’accoglienza per antonomasia, quando ancora il problema migranti non era un’emergenza, si ritrovano a vivere nascosti, braccati da tutti, costretti a nascondersi in tane ricavate nel terreno, nel folto della foresta, come gli animali che li circondano e di cui si nutrono, con gli stessi bisogni e con la stessa paura di essere scoperti. È facile fare analogie tra animali e clandestini: nel paese dell’accoglienza, gli abitanti del bosco di Villeneuve-le-Roi, animali e clandestini, hanno gli stessi imperativi:

  • Nascondersi
  • Vivere vicino a una sorgente d’acqua.
  • Disporre almeno di due vie di fuga (tante quante ne preparano gli animali quando scavano i loro rifugi).

Derive ha un finale tragico che lascia pochi spiragli di ottimismo, anche se lascia in vita tre dei quattro personaggi principali e fa morire il più forte fisicamente, il più coraggioso, il più generoso, la montagna che sembrava incrollabile: Virgil il Moldavo, che si lascia cadere volontariamente dal cantiere perché non sopporta più le angherie di altri immigrati (cinesi in questo caso), diventati aguzzini. Si lascia cadere con indosso una T-shirt della CGT, al fine di assicurare una vita dignitosa a sua moglie e sua figlia. In Francia, nel Paese dell’accoglienza per antonomasia, essere clandestini è un delitto. Nel condominio che ospita la famiglia di Virgil non c’è posto per Moldavi clandestini. Lo dice il regolamento interno! Sofferenze e sacrifici disumani non sono serviti a nulla. Virgil, la montagna, si lascia morire non avendo più la forza di combattere. Ma siamo quasi indifferenti a questo finale eroico e romanzato. Perché Virgil, Chanchal, Assan e Iman non possono temere più niente ormai, con ciò che hanno sopportato e subito. Qualsiasi destino è migliore in questa Europa egoista, cieca e matrigna. Sono loro i “vincitori invitti” di questa crudele vicenda. I perdenti siamo noi, che assistiamo distrattamente e quasi annoiati alla conta quotidiana delle vittime (con la specifica: anche bambini e donne incinte), allo sfruttamento, all’irridente prepotenza di arroganti impuniti che si fanno scudo dell’indifferenza, della burocratica impotenza di leggi insensate e disumane. Ci auguriamo che Iman possa continuare a sfuggire agli aguzzini della prostituzione, che Assan possa vedere finalmente coronato il suo sogno e che Chanchal trovi un’occupazione dignitosa. Tuttavia, se il romanzo finisce, non finisce certamente la quotidiana tragedia di altri protagonisti di questo nuovo esodo biblico cui assistiamo impreparati e impotenti. Derive è un romanzo, un documento, un reportage da leggere, tutti. Un pugno nello stomaco! Un libro su cui meditare per dare importanza alle cose che veramente hanno importanza nella vita. Ma è anche un impietoso atto di accusa nei nostri confronti, nei confronti della nostra società tronfia e soddisfatta di sé stessa e del benessere raggiunto, anche a scapito delle sofferenze degli altri.

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