“Sentieri” per la crescita: dai beni posizionali per il consumo ai beni relazionali di natura sociale

“Sentieri” per la crescita:

dai beni posizionali per il consumo ai beni relazionali di natura sociale

 

di Luca Ferrucci 16/09/18

_______________________________________________________________________________

Articolo di approfondimento per la sezione Economia de

Il Cortile di Francesco 2018 : Differenze – programma generale e biglietti in www.cortiledifrancesco.it

Vai all’indice generale di tutte le sezioni ed approfondimenti – Cortile di Francesco 2018 – Differenze. Gli approfondimenti di Oicos

______________________________________________________________________________

Dedicato a mia sorella Lisa, disabile intellettuale, privata precocemente di una vita caratterizzata dalla scarsità di beni posizionali, ma soprattutto per la privazione dei beni relazionali

 

  1. Introduzione

Il benessere, la felicità, l’edonismo possono avere vari significati. La prospettiva economica tradizionale ha ricercato questi concetti in un’idea di individualismo utilitarista, derivante dalle transazioni economiche di beni e servizi compatibili con il reddito disponibile. Specularmente, la povertà – sia assoluta che relativa – è stata interpretata come la capacità di conseguire livelli di consumo di un determinato paniere di beni e servizi, anche comparativamente alla media riferibile ad un determinato contesto sociale e storico. E’ su questo paradigma teorico dell’economia che le statistiche mirano a determinare la ricchezza complessiva di un paese a disposizione di una collettività, identificando nel PIL il misuratore di questa componente. Ma, come ha messo in evidenza Caporizzi nella sua relazione, altre dimensioni sociali, culturali, ambientali e tecnologiche contribuiscono al benessere e alla felicità di una comunità sociale. Il PIL, da solo, osserva solo alcune dimensioni economiche che, tra l’altro, in alcune circostanze possono contribuire a “rallentare” o addirittura diminuire il benessere di una collettività. Ecco, pertanto, che la letteratura economica internazionale – e i policy makers – tendono ad identificare in un nuovo concetto – con i relativi indicatori – la “ricchezza” economica, sociale, culturale, tecnologica e ambientale: il BES (benessere equo e sostenibile) ne è uno degli esempi più illuminanti.

La prospettiva teorica sinora indicata costituisce una traiettoria macro nella lettura ed interpretazione dei fenomeni sociali, con la loro relativa misurazione tramite indicatori statistici.

La mia relazione tende a svilupparsi a livello micro, partendo però dalle stesse esigenze teoriche, ossia l’investigazione delle ragioni che rendono una comunità più o meno felice. In un certo senso, al di là degli indicatori statistici riferibili al BES, qual è lo spartiacque, da certi punti di vista epistemologico e antropologico, che distingue le comunità a basso o elevato benessere? E’ indubbio che la componente economica sia rilevante, ma è altresì importante rilevare che essa, da sola, quale puller dominante delle società contemporanee occidentali sta generando una “nuova” dimensione della povertà e dell’infelicità, che va oltre la mera impostazione prettamente economica.

In questo senso, la letteratura economica, da diversi anni, ha proposto un’interpretazione di due tipologie di beni e servizi: i beni cosiddetti posizionali e, alternativamente, quelli relazioni. E’ a partire da questa dicotomia che cercheremo di sviluppare una riflessione, mostrando come disequilibri e disallineamenti individuali (e poi collettivi) tra queste due tipologie di beni – specialmente se persistenti e strutturalmente ampi nel corso del tempo – genera “nuove” forme di povertà e di infelicità socio-economica.

  1. Una dicotomia teoricamente “utile”: beni posizionali e beni relazionali

I beni posizionali si caratterizzano per la loro capacità di generare ed esprimere un posizionamento sociale dell’individuo, grazie al consumo che esso persegue. Essi si caratterizzano per l’identificazione dell’individuo con il proprio gruppo sociale di riferimento, grazie al conformismo nel consumo registrato con il band wagon effect, oltre a generare una capacità individuale di differenziarsi socialmente dagli altri. In altri termini, i beni posizionali contribuiscono all’identificazione del singolo consumatore, grazie al paniere di beni e servizi che possiede, con il suo gruppo sociale di appartenenza, nonché alla sua differenziazione sociale ed economica rispetto ad altri nuclei di soggetti. L’effetto dimostrativo teorizzato da Veblen al fine di certificare il proprio status socio-economico si “appoggia” a beni essenzialmente posizionali. Di conseguenza, esiste un nesso causale tra la dotazione di ricchezza economica individuale, la possibilità di realizzare transazioni economiche e conseguentemente il conseguimento di livelli di edonismo individuale: il PIL, nella sua concezione di fondo, è un ottimo indicatore di benessere fondato su questi beni posizionali. Essi costituiscono un sotto-insieme di quelli privati, hanno un vincolo di scarsità sociale ed economica (ovvero solo alcuni possono e vogliono disporne) e, infine, sono funzionali alla ricerca di miglioramento della propria immagine sociale in termini di status. L’utilità tratta dal consumo di beni posizionali è tendenzialmente decrescente all’aumentare del consumo, non solo individuale, ma anche sociale: se pochi individui possiedono un bene, l’effetto ostentativo e di differenziazione sociale ha un suo fondamento che, altrimenti viene eroso qualora il bene posizionale divenga diffuso tra molteplici consumatori. Le imprese for-profit, con le loro strategie di differenziazione dei loro prodotti e servizi e di posizionamento nell’ambito del mercato, sono quelle deputate essenzialmente all’offerta di questi beni posizionali.

Al contrario, i beni relazionali sono espressione della relazione tra gli individui, non mediata da beni posizionali. Essi sono definiti come “un bene che può essere prodotto e fruito soltanto assieme da coloro i quali ne sono gli stessi produttori e fruitori, tramite le relazioni che connettono i soggetti coinvolti” (Donati, P. (2007). L’approccio relazionale al capitale sociale. Sociologia e politiche sociali). I beni relazionali presentano varie caratteristiche tra le quali la contestualità tra l’atto di produzione e quello di fruizione, l’essere time-intensive (ossia essi dipendono non tanto da un vincolo economico quanto da uno di tipo temporale, legato al tempo individuale allocato), l’importanza della dimensione comunicativo-affettiva e la non rivalità. Uhlaner (Uhlaner, C. J. (1989) “Relational goods” and participation: Incorporating sociability into a theory of rational action. Public choice, 62) afferma che “the relational goods can only be “possessed” by mutual agreement that they exist after appropriate joint actions have been taken by a person and non-arbitrary other. (…) Relational goods can only be enjoyed if shared with some others. They are thus unlike private goods, which are enjoyed alone, and standard public goods, which can be enjoyed by any number”  (Uhlaner, C. J. 1989). In altri termini, l’utilità individuale tratta dai beni relazionali non solo non diminuisce (per l’assenza del carattere di rivalità) ma addirittura aumenta al crescere della numerosità dei soggetti o dell’intensità delle relazioni tra gli individui con i quali si intrattengono tali relazioni di scambio.

Sulla base di questa dicotomia, la letteratura economica ha iniziato a formulare alcune implicazioni ai fini del benessere individuale.

Secondo Easterlin (2001), la soddisfazione che il consumatore trae dai soli beni posizionali nella fase post-acquisto è differente dalla tradizionale impostazione microeconomica neoclassica, dovendo tener conto di tre diversi aspetti concettuali:

  • Hedonic Treadmill: La soddisfazione conseguente all’acquisto di un nuovo bene di consumo, dopo un miglioramento temporaneo, torna rapidamente al livello precedente;
  • Satisfaction Treadmill: Anche se la soddisfazione “oggettiva” migliora, quella “soggettiva”, ossia percepita, richiede continui e più intensi piaceri per mantenere lo stesso livello di soddisfazione;
  • Positional Treadmill: La soddisfazione che traiamo dal consumo dipende anche dal valore relativo del consumo stesso, cioè da quanto esso differisce da quello degli altri con i quali ci confrontiamo.

Kahneman (2007) distingue tra soddisfazione sperimentata e soddisfazione ricordata, in relazione ai beni posizionali, a distanza di tempo. Egli, in particolare, afferma che “è il piacere ricordato e non quello sperimentato a infondere il desiderio di ripetere l’esperienza (…) La valutazione e la memoria sono di fondamentale importanza perché svolgono un ruolo significativo nelle decisioni e perché gli individui si preoccupano profondamente di come viene narrata la propria vita”.

In relazione ai beni relazionali, Frank (1988) scrive: «Molta evidenza empirica suggerisce che se usiamo un aumento del nostro reddito semplicemente per comprare case più grandi e auto più costose, non ci ritroviamo dopo questi acquisti più felici di prima. Ma se usiamo l’aumento di reddito per acquistare più beni non vistosi (unconspicuous goods) – come liberarsi da lunghi spostamenti per lavoro o per cambiare un lavoro noioso –, allora l’evidenza empirica mostra un quadro ben diverso. Meno spendiamo in beni vistosi, più riusciamo a ridurre ingorghi nel traffico, più tempo dedichiamo alla famiglia, agli amici, al sonno, ai viaggi, e ad altre attività interessanti. Sulla base della migliore evidenza empirica, possiamo affermare che riallocare il nostro tempo e denaro in queste e simili attività ci renderebbe la vita più sana e più felice». In altri termini, la qualità della vita relazionale non-strumentale è quella che più pesa (anche rispetto al reddito) nella stima del benessere soggettivo delle persone.

Una crescente letteratura empirica mostra l’importanza delle relazioni non strumentali nella felicità soggettiva (Bruni, L., & Stanca, L. 2008): Persone che attribuiscono ai rapporti interpersonali non strumentali un’importanza relativamente maggiore, riportano una soddisfazione soggettiva maggiore e, fatto significativo, sono considerati felici anche dagli altri. Da un esperimento svolto su 900 donne texane (Kahneman, D., Krueger, A. B., Schkade, D. A., Schwarz, N., & Stone, A. A. 2004) è emerso che in 14 attività su 15 svolte in una giornata (in tutte tranne la preghiera) quelle donne riportavano un’autovalutazione del proprio benessere maggiore quando le attività erano effettuate in compagnia di altre persone. Due economisti tedeschi, Meier e Stutzer (Meier, S., & Stutzer, A. 2008), sulla base dei dati del GSOEP (German Socio-Economic Panel), relativi al periodo 1985-1999, hanno mostrato una forte correlazione tra lo svolgere attività di volontariato (come segnale di relazionalità nascente da motivazioni intrinseche) e il benessere soggettivo.

In questa prospettiva teorica, emergono  – sulla base di diverse ricerche empiriche – alcune implicazioni, quali (Scitovsky, T. (1976). The joyless economy: An inquiry into human satisfaction and consumer dissatisfaction):

  • La soddisfazione dell’individuo dipende, in buona misura, dai beni relazionali anziché da quelli posizionali;
  • La soddisfazione individuale sembra più “stabile” con il consumo di beni relazionali rispetto a valori relativamente effimeri e “instabili” per quelli posizionali;
  • La soddisfazione individuale di beni posizionali è maggiore se associata alla presenza di beni relazionali;

…………

Continua la lettura del saggio in PDF Sentieri” per la crescita: dai nebi posizionali per il consumo ai beni relazionali di natura sociale

Scarica le slides della conferenza

Comments are closed.

Seguici

Flickr  Vimeo  Twitter  Facebook